Sport e autismo: un’opportunità di crescita e scoperta

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Sport e autismo: un’opportunità di crescita e scoperta

Quando si parla di sport e autismo, specialmente nelle forme ad alto funzionamento, c’è ancora molta confusione e, spesso, qualche pregiudizio. Una delle domande che più frequentemente si pongono genitori, educatori e allenatori è: i bambini nello spettro autistico possono fare sport? E la risposta, semplice e diretta, è sì. Ma c’è di più: sport e autismo possono diventare un binomio straordinariamente potente, capace di promuovere sviluppo, benessere e inclusione.

Non si tratta solo di partecipazione. Per molti bambini nello spettro, soprattutto quelli ad alto funzionamento, lo sport rappresenta una vera e propria opportunità evolutiva, un mezzo per esprimersi, per superare barriere e per scoprire sé stessi attraverso il movimento. Sport e autismo quindi possono davvero andare a braccetto.

Immagina un bambino che ha difficoltà a parlare con i compagni, che fatica a leggere i segnali sociali, che ha bisogno di routine precise e che si agita di fronte all’imprevisto. Ora immagina quello stesso bambino mentre nuota in piscina, oppure mentre corre in un campo, o ancora mentre si concentra durante un esercizio di judo. Improvvisamente, il suo corpo diventa linguaggio, lo spazio diventa più prevedibile, e la comunicazione passa anche attraverso il gesto. In quel contesto, quel bambino non è “quello autistico”: è un atleta, uno sportivo, una persona che partecipa.

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Ovviamente, non tutto è immediato o facile. Il percorso richiede attenzione, pazienza e soprattutto comprensione delle sue specificità. Alcuni bambini con autismo sono ipersensibili ai rumori, altri non tollerano il contatto fisico, altri ancora si bloccano se una regola cambia all’ultimo momento. È qui che entra in gioco la qualità dell’ambiente: un buon allenatore, un gruppo inclusivo, un contesto flessibile possono fare una differenza enorme nel collegare sport e autismo.

Nel tempo, molti genitori raccontano di come lo sport abbia aiutato il proprio figlio non solo a migliorare la coordinazione o a scaricare l’energia, ma anche a sviluppare abilità sociali, ad aumentare la tolleranza alla frustrazione, ad accettare meglio la gestione dell’attesa o del fallimento. Sono piccoli passi, spesso invisibili dall’esterno, ma fondamentali per la crescita globale del bambino.

In alcuni casi, lo sport diventa persino un canale privilegiato per creare legami. Mentre le parole magari mancano o non arrivano al momento giusto, la condivisione di un obiettivo sportivo – un passaggio, un applauso, una vittoria condivisa – può aprire una strada nuova verso la relazione. Per un bambino autistico, che magari ha sempre vissuto un senso di “separazione” dal gruppo, sentirsi parte di una squadra può essere una conquista enorme, una spinta preziosa per la costruzione della propria identità. In questo modo, sport e autismo si intrecciano positivamente.

Ma quali sport sono più adatti? La verità è che non esiste una risposta universale. Ogni bambino è diverso. Tuttavia, discipline come il nuoto, le arti marziali, l’atletica, l’equitazione o la ginnastica individuale spesso si adattano bene alle esigenze di bambini nello spettro. Sono attività che offrono struttura, regole chiare, tempi definiti e spazi gestibili. Ma anche uno sport di squadra, con i giusti accorgimenti, può essere un’esperienza positiva e formativa.

Il vero segreto sta nella capacità di adattare, osservare e ascoltare. Uno sport proposto con rigidità, con un solo modello di comportamento accettabile, rischia di diventare esclusivo. Ma uno sport costruito sull’inclusione e sulla valorizzazione delle differenze può aprire porte inaspettate. Non solo per il bambino autistico, ma per tutto il gruppo: perché tutti i bambini imparano dalla diversità, si arricchiscono nel confronto con chi è diverso, sviluppano empatia e sensibilità.

Un ruolo fondamentale lo gioca anche la famiglia. I genitori sono spesso i primi a intuire quale disciplina possa piacere al proprio figlio, conoscono i suoi limiti ma anche le sue passioni. Quando riescono a trovare allenatori disponibili al dialogo, il percorso sportivo si integra con quello educativo e terapeutico, dando luogo a un progetto completo, coerente, armonico. Questo è fondamentale per combinare adeguatamente sport e autismo.

Alla base di tutto questo c’è un principio semplice, ma ancora troppo spesso trascurato: fare sport è un diritto, non un privilegio. E questo vale anche per i bambini nello spettro. Non bisogna “concedere” loro di partecipare, ma costruire ambienti in cui possano farlo davvero, in modo dignitoso, autentico e soddisfacente.

In conclusione, parlare di sport e autismo significa molto più che valutare se un bambino possa correre o lanciare una palla. Significa parlare di potenziale, di crescita, di partecipazione alla vita. Significa credere che ogni bambino, con le sue caratteristiche uniche, abbia il diritto di sentirsi parte del gioco, di muoversi, di emozionarsi, di superare i propri limiti.

E allora, se conosci un bambino nello spettro, incoraggialo a provare. Che sia con l’acqua, con la palla, con il cavallo o con un tatami, lascia che scopra il piacere del movimento, il senso della sfida, la gioia del corpo che si esprime. Perché, in fondo, lo sport non è solo una questione di abilità. È una questione di possibilità. E ogni bambino ha diritto alla sua.

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