Inclusione scolastica e autismo: strategie efficaci e collaborazione

Inclusione scolastica e autismo: strategie efficaci e collaborazione tra scuola e terapisti

L’inclusione scolastica degli alunni con disturbi dello spettro autistico non è soltanto una questione normativa, ma una vera e propria sfida educativa che coinvolge ogni giorno insegnanti, terapisti, educatori e famiglie. Quando si parla di “inclusione scolastica autismo”, non si intende soltanto la presenza fisica dell’alunno in classe. Si parla di partecipazione attiva, di apprendimento reale, di costruzione di relazioni significative, e soprattutto, di benessere psicologico. È un processo complesso, fatto di alleanze quotidiane e piccoli aggiustamenti, che richiede una visione condivisa e la volontà di mettere al centro la persona, prima ancora del suo funzionamento cognitivo o comportamentale.

In Italia, la normativa sull’inclusione è avanzata. La Legge 104/92, e più recentemente il Decreto legislativo 66/2017, pongono le basi per un sistema scolastico accessibile e inclusivo. Ma la distanza tra ciò che è scritto nei documenti ufficiali e ciò che accade realmente nelle classi è spesso ampia. Il Piano Educativo Individualizzato (PEI), ad esempio, dovrebbe essere un documento vivo, costruito in sinergia tra scuola, famiglia e sanitari. In molti casi, però, resta un adempimento burocratico, privo di reale incidenza sulla didattica quotidiana.

Per comprendere meglio cosa significa davvero lavorare per l’inclusione scolastica degli alunni autistici, abbiamo raccolto le voci di chi opera sul campo. Il loro racconto non è solo tecnico, ma profondamente umano. La Dott.ssa Anna De Santo, logopedista presso l’Ospedale di Legnano, racconta che “intervengo sul linguaggio, ma anche sulle funzioni comunicative e relazionali. Spesso i progressi ottenuti in ambito terapeutico si scontrano con ambienti scolastici poco preparati. Per questo è essenziale un confronto costante con gli insegnanti: serve coerenza tra gli stimoli offerti in terapia e quelli presenti in classe.” Il suo lavoro, quindi, non si limita alla seduta clinica: si estende al corridoio della scuola, alla mensa, al cortile, luoghi in cui la comunicazione si fa vita quotidiana.

Anche per la Prof.ssa Maria Grazia Agostini, insegnante di sostegno con oltre vent’anni di esperienza, il dialogo è la chiave di tutto. “Le strategie funzionano solo se condivise. La formazione è importante, ma ancor più lo è il confronto costante con chi segue l’alunno anche fuori dalla scuola. Ogni bambino è un mondo a sé, e non esistono pacchetti pronti all’uso.” Racconta con entusiasmo di un progetto realizzato nella sua scuola: un’agenda visiva costruita insieme alla logopedista e alla famiglia, che ha rivoluzionato la giornata di un bambino che prima viveva la scuola come un luogo imprevedibile e quindi fonte di ansia.

Il Dott. Alberto Mariotto, terapista della neuro e psicomotricità, aggiunge un altro tassello fondamentale: l’ambiente scolastico. “La scuola può essere fonte di stress per un bambino autistico: rumori, luci forti, cambi di attività non annunciati. Il mio lavoro consiste anche nell’individuare questi fattori e proporre soluzioni concrete. Collaborare con gli insegnanti ci permette di rendere la scuola più accogliente e funzionale.” Tra gli strumenti più utili, cita le zone relax, l’utilizzo di timer visivi e le routine strutturate che danno prevedibilità alla giornata.

Infine, la Dott.ssa Chiara Bonura, educatrice professionale, sottolinea l’aspetto culturale dell’inclusione. “Non è solo una questione di strumenti o strategie, ma di mentalità. Quando la scuola lavora anche con il gruppo classe, non solo con l’alunno con disabilità, l’inclusione è reale. Ho visto bambini imparare il valore della diversità attraverso attività cooperative, giochi di ruolo, letture guidate. L’inclusione scolastica autismo non migliora solo la vita dell’alunno con diagnosi, ma quella dell’intera comunità scolastica.”

Dalle parole di questi professionisti emergono non solo le difficoltà, ma anche le soluzioni. L’uso della Comunicazione Aumentativa Alternativa (CAA), le agende visive, i tempi personalizzati, gli spazi di decompressione sensoriale, sono solo alcuni degli strumenti che oggi fanno parte delle buone pratiche. Ma ciò che fa davvero la differenza è la capacità di lavorare in rete, di costruire un linguaggio comune tra insegnanti e terapisti, di coinvolgere la famiglia come parte attiva del processo educativo.

In alcune scuole italiane queste pratiche sono ormai realtà consolidata. A Bologna, ad esempio, un istituto comprensivo ha adottato la didattica capovolta per tutti, permettendo agli alunni di apprendere secondo i propri tempi e modalità. A Napoli, una primaria ha creato un laboratorio multisensoriale accessibile a tutta la classe, e in Lombardia un progetto di formazione continua ha dato vita a un’équipe integrata che lavora stabilmente su ogni PEI.

Non mancano però le criticità. Le carenze di personale specializzato, la mancanza di continuità nei progetti, le classi numerose, sono problemi ricorrenti. Per questo gli esperti concordano su alcuni punti fondamentali: potenziare la formazione degli insegnanti, riconoscere il ruolo dei terapisti come parte integrante del percorso scolastico, investire in ambienti accessibili e favorire incontri sistematici tra tutti gli attori coinvolti.

L’inclusione scolastica degli alunni autistici non può essere lasciata alla buona volontà del singolo docente o alla sensibilità di un dirigente scolastico. È una responsabilità collettiva, che chiama in causa il sistema educativo, sanitario e sociale nel suo complesso. Come ci ricorda la Dott.ssa Bonura, “l’inclusione non è un obiettivo, è un processo continuo”. E solo se accettiamo questa sfida come comunità educante, potremo davvero costruire una scuola in cui ciascun alunno, con le sue specificità, possa sentirsi accolto, compreso e valorizzato.

autismo quindi?
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